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Gay & Bisex

Immagini dalla Sessualità - Parte 4


di Drew75
25.02.2025    |    46    |    1 8.7
"” disse mostrandomi un plug con una morbida coda bianca e nera, “oppure io la tua tigre..."
Rividi Edo un paio d’altre volte ma non ci fu l’occasione per tornare a incontrarci come quel pomeriggio della mostra d’arte. Ogni volta che capitava di trovarci insieme mi chiedevo se anche lui ricordasse con piacere quel giorno o se fossi stato semplicemente una delle sue tante conquiste, uno di quei ragazzi di cui sempre era circondato; avevano tutti un’aria di profonda venerazione nei confronti di Edo che, lo notai solo nei mesi successivi al nostro rendez-vous amoroso, si comportava come quegli artisti cui tutti pendono dalle labbra, quegli artisti che possono cacare in un vasetto della marmellata e il mondo intero è pronto a dire che si tratta di un’opera d’arte. Ero invidioso di Edo? Ero invidioso degli artisti che cacano nei vasetti? Forse sì ma forse anche no. Per defecare ho sempre preferito la tazza del cesso.
Non mi trattava con sufficienza e io non ero il tipo da andare a leccare i piedi a chi non aveva voglia di parlare con me, però non sentii più quel calore che mi aveva trasmesso mentre mi raccontava le storie dietro ai quadri in mostra; non sentii più nemmeno quella passione che lo aveva mosso a sbattermi contro il muro appena dietro la porta del suo appartamento. Sicuramente avevo frainteso io, che non volevo sicuramente una storia seria, un fidanzamento, un ménage; semplicemente m’era parso che avrebbe potuto aiutarmi a far chiarezza in quello che mi stava ribollendo dentro e, senza dubbio, insegnarmi a fare del buon sesso omosessuale. Il fatto di non essere riuscito a farmi penetrare e a non godere di quello, mi rodeva dentro. A casa cercavo di comprendere come potermi rilassare e aprire per accogliere un eventuale partner, idealizzavo per questo un compagno meno dotato di Edo, ma nelle mie sedute solitarie mi rendevo conto di riuscire a ospitare giocattoli ben voluminosi. Mi convinsi quindi che era una questione di testa, una buona predisposizione mentale avrebbe permesso al mio culo di gradire la visita di un bel arnese infoiato.
Alcune sere cercai la mia strada in qualche bar gay ma mi resi conto subito che non era il mio ambiente e non era quel che cercavo. Gli approcci, brutali e diretti, provenivano troppo spesso da bocche impastate che biascicavano ciò che gli occhi acquosi poco sopra faticavano a mettere a fuoco. Inoltre compresi che non ero prettamente attratto dai maschi, quando ne vedevo qualcuno che mi piaceva pensavo subito al suo cazzo, a come sarebbe stato averlo tra le mani e in bocca e anche di dietro. Mi trovai spesso a chiedermi come fosse quello degli uomini che mi trovavo davanti nelle più disparate situazioni; in alcuni casi sentii anche il violento impulso di baciare colui che mi stava vicino, magari in macchina oppure sul volo aereo. Eppure non avevo perso la forte attrazione, che avevo sempre provato, per il genere femminile. Mi trovavo spesso estasiato dalla visione di un bel viso circondato da lunghi capelli, da labbra carnose sormontate da un nasino irriverente, da mani aggraziate con lunghe unghie curate, mi immaginavo cosa quelle mani, quelle unghie, quella bocca, avrebbero potuto fare sulle mie zone erogene; sognavo, e a volte mettevo in pratica, ciò che io avrei fatto quando quel corpo sinuoso, quelle gambe fasciate di nylon, quel seno che spuntava sbarazzino dalla camicetta, sarebbero stati in mio possesso. Non potevo esimermi dal guardare le donne. Nel contempo non potevo astenermi dal fantasticare sugli uomini e sui loro cazzi. Solo sui cazzi, perché difficilmente pensavo d’inculare un altro uomo; il mio desiderio era di succhiare, segare e farmi fottere, oltre che di strofinare i nostri cazzi uno sull’altro fino a venire contemporaneamente.
L’idea di essere principalmente passivo cozzava con l’idea di macho che avevo sempre avuto di me, eppure queste erano le mie fantasie e, dopo il turbamento iniziale che avevo provato, avevo evitato di mettere un freno a queste mie idee bizzarre, semplicemente le lasciavo libere di nascere e crescere senza intervenire in alcun modo.
Fu proprio una di loro, una donna, ad aprirmi la strada, e non solo, ai veri piaceri anali. La frequentai qualche tempo e con lei scoprii fin dove avrei potuto arrivare, fin dove il mio corpo avrebbe provato e fatto provare piacere; riuscii a scoprire sensazioni che mai avrei immaginato, abbandonandomi alla voluttà in ogni suo aspetto e, è proprio il caso di dirlo, angolazione. Fin dal primo incontro mi mostrò la sua collezione di strumenti di piacere. Rimasi estasiato dalla quantità, dalla varietà e dalle diverse dimensioni di quegli attrezzi. Ce n’erano di piccoli che, mi spiegò Diana, rimanevano inseriti nell’ano per tutta la durata dell’amplesso, in modo da amplificare al massimo il godimento sia nell’uomo che nella donna.
“Puoi essere il mio gattino.” disse mostrandomi un plug con una morbida coda bianca e nera, “oppure io la tua tigre.” estraendone dal cassetto un altro con del pelo fulvo. “Molti amano tenerli per tutto il giorno. Personalmente mi infastidiscono al di fuori del letto e penso che certe pratiche siano un pochino deviate.”
Ero affascinato dai mille colori che vedevo sparsi sul grande letto ma quelli che più m’incantavano erano i trasparenti. La mia mente immaginò questi oggetti cristallini penetrare la carne eccitata, umida e calda, come fossero il sesso degli angeli, che nelle loro invisibilità riuscivano comunque a regalare il più grande dei piaceri.
“E questi mi servono quando il mio partner o la mia partner mi chiedono di switchare.” erano delle cinghie da indossare come brache, che sul davanti avevano l’innesto per i dildo. “Posso diventare il tuo fidanzato.” continuò portandosi un grosso fallo nero davanti al curato ciuffo di peli che sovrastava la sua vagina, mimando l’atto della copula. Dentro di me sentii esplodere l’eccitazione, quello che in amore si chiama le farfalle nello stomaco, in quel momento in me si levò in volo uno sciame di calabroni che faceva vibrare ogni mia singola terminazione nervosa, scatenando sensazioni mai provate. Una sensazione che si dovette palesare anche laggiù, dove custodivo la mia virilità. Diana se ne accorse e “Ti ho beccato!” disse schiaffeggiandomi l’uccello che si stava drizzando, “Sei un gran bel porcellino! Ma stai attento che io potrei essere il grande lupo cattivo... oppure il fattore che lo riconduce al recinto dopo essersi smarrito. In entrambi i casi finisci in padella.” e rise di gusto.
“Adesso girati.” mi impartì.
Appena fui a quattro zampe, con le chiappe ben in mostra, sciaff, una sberla a mano aperta mi colpì sulla natica destra. Così come quando mi aveva schiaffeggiato il pene, anche in quel momento il piacere dilagò come una marea elettrica dentro di me. Non avevo mai considerato queste pratiche parte di me, io vedevo l’amore come condivisione del piacere e anche se a volte avevo fottuto con grande impeto, pensando che il mio cazzo stesse spaccando in due la mia compagna, mai avrei usato violenza, fisica e tanto meno verbale, nei suoi confronti. La voluttà che mi pervase mi lasciò senza fiato tanto che dovetti abbandonarmi ad un gemito, che rallegrò Diana: “Andiamo bene!” continuò mentre un liquido caldo e oleoso colava nella fessura tra le mie chiappe, una mano iniziò a spalmarlo intorno al buco, che sentivo agitarsi sotto i tocchi della donna, fino a raggiungere lo scroto e l’asta, ormai tanto turgida da farmi quasi male. Il suo lavoro era calmo e meticoloso, preciso in ogni lembo di pelle che toccava; man mano che il tempo passava Diana si soffermava maggiormente sulla mia rosellina trepidante; sentii spingere e un dito, penso l’indice, si fece largo tra le mie carni.
La sensazione di essere a culo in aria, voltato di schiena, in totale balia del proprio partner è parecchio remissiva e in alcuni momenti mi chiesi fin quanto avrei accondisceso a quell’assoggettamento. Fu un completo abbandonarsi, regalare fiducia a quella donna che, per sua stessa ammissione avrebbe potuto essere lupo o allevatore e io avrei comunque fatto una brutta fine. Decisi che mi sarei fidato fino in fondo, che non avevo motivo di dubitare di lei, che anch’ella aveva come obbiettivo il piacere di entrambi. Mi gustai ogni istante di quei movimenti decisi e delicati al contempo, con il dito che entrava e usciva da me, che stuzzicava punti che non sapevo di avere mentre il mio cazzo era sottoposto a stimoli che non aveva mai conosciuto e continuava a rimbalzare nella sua brama contro la mia pancia.
“Rilassati così.” tornò a dire “Bravo!” e le dita nel mio culo divennero prima due e poi tre per preparare la strada a qualcosa di più grosso e soddisfacente. Sentii una grossa cappella appoggiarsi al mio ano dilatato e la spinta gentile di Diana che lo faceva lentamente entrare. “Ci siamo quasi.” e percepii le palle di quel grosso uccello di plastica sfiorare le mie. “Lo prendi bene. Sembra quasi che tu ne sia abituato.” evitai di rivelarle che negli anni successivi alla mia esperienza con Edo mi ero allenato in quella pratica. Mi lasciai scopare con voluttà, accogliendo il suo dildo e godendo del suo movimento rotondo e profondo. Cercai di raggiungere il mio fallo per darmi maggior piacere ma Diana se ne accorse e allontanò la mia mano. “Non farlo. Non ora. Non è il momento.” Tornai ad abbandonarmi come avevo fatto quella prima sera, senza pensare a nulla, ai sensi di colpa, alla vergogna, alla mia virilità messa in discussione, al mio machismo ormai seppellito in fondo al mio ego. Sapevo che i sensi e la sensualità non andavano inibite, che ogni esperienza è un accrescimento interiore, che se quello era il piacere che cercavo, bé, non avrei dovuto fuggirlo.
Diana sfilò il dildo e una brutta sensazione di vuoto mi pervase. Mi fece girare e vidi che teneva in mano il fallo artificiale traslucido con cui mi aveva chiavato. Adesso, sdraiato sulla schiena, troneggiava su di me in tutta la sua altezza e faceva ondeggiare il bacino attrezzato di cintura strap-on su cui era montato un bel dildo nero. “Vieni qui!” disse afferrandomi le gambe e tirandomi a lei, verso il bordo del letto, “Il bello deve ancora venire. E quel bello, sei tu!” rise, lubrificò il suo attrezzo e me lo spinse nel culo, culo che era elasticamente pronto dopo tutto il lavoro preparatorio che aveva fatto e accolse quel membro siliconico fino in fondo. Le cinsi le gambe alla vita e Diana iniziò a scoparmi, io lo sentivo dentro stimolarmi una gran varietà di punti e regalarmi sensazioni in ogni parte di me. Diana mi afferrò l’uccello, lasciò cadere della saliva e mi masturbò al ritmo della cavalcata. Mi abbandonai completamente a lei, lasciando che fosse lei a dominarmi, a possedermi, a farmi godere di un piacere che non avevo mai provato. Ritrassi le gambe e me le portai al petto, stringendomele con le braccia; se possibile la penetrazione fu ancora più profonda, me lo sentii arrivare fin quasi in gola. A occhi semichiusi gemevo come un gattino e, sfocata, vedevo lei che rideva e sputava sul mio cazzo per segarmi meglio.
“Sto per venire.” ansimai. Diana affondò fino alle palle artificiali del suo dildo e tirò la pelle del mio uccello fino alla radice. Esplosi come un vulcano inondandomi la pancia di sperma caldo.
Diana rallentò il ritmo e prese a massaggiare lentamente il mio uccello che andava ammosciandosi. Una supernova di emozioni contrastanti aveva completamente riempito il mio universo interiore, mi sentivo fluttuare in un mare siderale di gelatina multicolore, non sapevo più chi fossi né tantomeno cosa fossi. Ero un uomo? Ero gay? Ero un cazzo di frocio, come tanti intorno a me chiamavano gli omosessuali? Eppure ero attratto dalle donne, l’incontro con Diana lo dimostrava, però mi piaceva prenderlo nel culo in senso strettamente letterale dell’espressione; avere qualcosa di grosso e duro che mi spinge nelle viscere non faceva altro che amplificare a dismisura il mio piacere. Quindi ero bisex. Ma quanto attivo? quanto passivo? quanto omo? e quanto etero? Alla fine di ogni orgasmo i dubbi tornavano ad assalirmi come un branco di lupi famelici, non potevo godere del mio piacere perché i miei sensi di colpa, di vergogna, di perbenismo e di conformismo mi latravano contro. Non poteva bastarmi di aver goduto? Sembrava di no, sembrava che dovessi lacerarmi ad ogni rapporto sessuale che mi regalava un piacere immenso, e quello con Diana aveva toccato apici gloriosi
Diana sfilò lo strapon dal mio culo e la solita, triste, sensazione di vuoto tornò a dilagare in me. Avrei voluto che non finisse mai.
“Bravo Porcellino!” disse la mia compagna “Te lo sei gustato per bene.” e mi schiaffeggiò il cazzo con il dildo appena estratto. Lo sentii ancora caldo e umido dei miei umori. “Il bagno è la prima porta a destra. C’è un asciugamano pulito appeso.” Fedelmente seguii le istruzioni e mi feci una doccia. Pulendomi l’ano lo sentii dilatato e lasco, come m’era capitato anche durante le mie solitarie evoluzioni. Sapevo che me lo sarei tenuto per qualche giorno al massimo, ma ne valeva la pena. Avrei dovuto soltanto stare attento a petare. Ridacchiai tra me e ritornai in camera per gustarmi un po’ di riposo dopo quell’amplesso. Trovai Diana seduta a gambe divaricate sui braccioli della poltrona, si stava passando una mano sulla vagina accuratamente rasata e pettinata. Sul ciuffetto che decorava il monte di Venere brillava qualche goccia che sembrava argento liquido.
“È il tuo turno, Porcellino.”
Mi guardai l’affare penzolante e molle. Non ero mai stato un grande doppiettatore.
“Non preoccuparti.” mi rassicurò lei, “Baciami fino in fondo.”
Capii cosa desiderava. M'inginocchiai davanti alla poltrona e mi ritrovai nella posizione dell’uomo all’albergo. Dovevo darmi da fare con le mani e con la bocca. Cercai di percepire quale parte le era più sensibile, quale movimento la faceva sussultare di più, cercai di ricordare quello che le altre mie amanti mi avevo detto o soltanto fatto capire, cancellai dalla memoria tutte le immagini viste nei porno perché quello non era far godere una donna. Iniziai delicatamente, baciandole le grandi labbra che pian piano si aprirono sotto i colpi della mia lingua e mi regalarono lo sbocciare del clitoride, che si erse nella sua maestosità davanti ai miei occhi. Lo carezzai e la sentii gemere mentre con una mano mi graffiava il cuoio capelluto. Lavorai il clitoride con le dita mentre con la lingua mi spingevo all’interno della vagina aperta, che emanava un afrore selvatico di bosco nel pieno della stagione amorosa. Leccai e leccai come se non esistesse null’altro attorno a me, mi spostai a succhiare quel piccolo pene che le spuntava tra le carni così rosee che si stavano trasformando in un mare in movimento. Per restituirle il piacere che aveva fatto a me, spostai una mano verso il suo deretano, le aprii leggermente le natiche e raggiunsi il suo fiore ascosto. Quando lo sfiorai Diana mi spinse la testa contro il suo sesso eccitato, mi teneva così forte che temetti di soffocare perché anche il naso era immerso in quella umida caverna calda. Mi stringeva la testa, e io boccheggiavo in cerca d’aria, che per fortuna riuscivo a trovare, e spingeva il bacino avanti e indietro per assecondare e migliorare i miei movimenti. Continuò a lungo, e io le spingevo sempre più il dito nel culo, chiuse le gambe mentre un lungo lamento accompagnò il suo orgasmo che m’inondò completamente di caldo liquido appiccicoso.
Finalmente riuscii a respirare a fondo. Diana mi allontanò e caddi sul pavimento. In preda all’estasi mi mise i piedi sul petto e poi in viso. Non potei fare altro che iniziare a leccarli. So che è una fantasia molto comune ma è una fantasia che mi ha sempre accompagnato, cercavo sempre, in ogni mio amplesso di avere i piedi della mia compagna vicino a viso, a un tiro di lingua potremmo dire, adoravo leccarli e succhiare le dita mentre le penetravo. Il gesto di Diana, che mi mise a disposizione le sue estremità, ravvivò il mio desiderio e mentre veneravo i suoi bei piedi, il mio uccello tornò a farsi baldanzoso.
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